(Gesù) disse a Tommaso: “Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente”.
Giovanni
20:27
“Non essere
incredulo, ma credente”
(lettura
proposta: Giovanni 20:24-31)
“Metti
la mano nel mio costato”. Qual è il senso di queste parole che Gesù risuscitato
rivolse al discepolo Tommaso? Quel discepolo non credeva che il Signore fosse
davvero risuscitato; così Lui gli ha parlato, e gli ha mostrato i segni dei
chiodi nelle Sue mani e il costato che il soldato romano aveva ferito con una
lancia.
Gesù
si rivolge a noi allo stesso modo, specialmente quando siamo in preda al
dubbio. Lui non si allontana da noi. Aspetta da noi un avvicinamento personale,
spontaneo, fiducioso e tenero, in cui sia il cuore a parlare.
Ricordiamoci
della Sua umanità senza macchia, della Sua umiliazione, della Sua vita di
sofferenza, della Sua morte, e anche del giorno in cui è uscito vivente dal
sepolcro. Scacciamo l’incredulità dai
nostri cuori ripensando alle ferite del nostro Salvatore, ai segni della
Sua crocifissione.
Era
proprio Gesù, morto e risuscitato, che si presentava vivente a Tommaso. La Sua
risurrezione gloriosa attestava che era Dio; bisognava che Tommaso non fosse
più incredulo ma credente. Tommaso, allora, rispose con un’esclamazione:
“Signore mio e Dio mio!” Grido di gioia e di adorazione, spontaneo, personale.
Non dice solo “Signore Dio”, dice “Signore mio
e Dio mio!”