Alla fine di un’estate tanto povera di piogge che tutte le sorgenti nelle nostre montagne erano quasi esaurite, un contadino, mio vicino di casa, mi diede motivo di fare delle riflessioni.
La penuria d’acqua era tale che diventava impossibile abbeverare il gregge e nell’orto seccava tutto. Sua moglie disse: “Ecco cosa faremo: se la fontana è secca, cercheremo nuove sorgenti. Vi sono abbondanti riserve di acqua nella montagna!” Così l’uomo partì a frugare lungo i pendii al di sopra della fattoria dove un po’ di frescura nei solchi dei ruscelli e l’erba più verde faceva ritenere che tra le rocce scorressero ancora alcuni fili d’acqua. Li trovò e li portò alla luce scavando tra le pietre dei piccoli bacini che collegò a una rete di tubi. Alla fine, la fattoria ebbe acqua in quantità sufficiente, nell’attesa delle piogge d’autunno.
Quindi, mentre le coltivazioni seccavano sotto l’ardore del sole torrido, abbondanti riserve d’acqua scorrevano sottoterra, nelle falde delle rocce. Era stato però necessario scoprirla quell’acqua e portarla alla luce, lavoro arduo ma vitale e ampiamente ricompensato.
Così mi è venuto da pensare che se i nostri cuori si inaridiscono e la nostre anime languono, Dio ha in serbo per noi “sorgenti che nascono nelle valli e nei monti” (Deuteronomio 8:7), un’inesauribile provvista di grazia.
Il monte è simbolo di potenza e di maestà, ma anche di rifugio e di abitazione sicura; è pure il luogo da cui provengono frescura e ossigeno per le nostre anime. Dall’Ermon, alta cima innevata, scende la rugiada sui monti di Sion (Salmo 133:3). È “sui monti santi” che Dio ha fondato la sua città (Salmo 87:1). Sul Golgota, alle porte di Gerusalemme, Cristo è stato crocifisso. Ogni benedizione sgorga per noi dalla sua morte e dalla sua risurrezione. È lì che il nome “Iavè-Irè” (l’Eterno provvede) si è chiarito nel suo significato simbolico e si è pienamente realizzato. “Al monte del SIGNORE sarà provveduto”, aveva detto Abraamo dopo il sacrificio di Isacco, che in realtà non avvenne, e la sua “risurrezione”, come leggiamo in Ebrei 11:19: “Abraamo… riebbe Isacco come per una specie di risurrezione”. Fu in quel momento che Dio gli rinnovò le sue grandi promesse (Genesi 22:14-18).
Ecco i tesori inesauribili di una grazia perfetta, in redenzione e in salvezza.
Nelle nostre montagne si accumulano le riserve d’acqua indispensabili per i periodi di siccità. “Cadi sulla terra!” dice Dio alla pioggia (Giobbe 37:6, 11). Ma che dire del monte di Dio e delle benedizioni che ne discendono? “Perché, o monti dalle molte cime, guardate con invidia al monte che Dio ha scelto per sua dimora?... Sia benedetto il Signore! Giorno per giorno porta per noi il nostro peso, il Dio della nostra salvezza!” (Salmo 68:15 a 20).
Se Dio ha dato per la terra delle stagioni fertili con le piogge al tempo opportuno, a noi ha dato molto di più nel suo Figlio che Egli stesso ha innalzato al di sopra dei cieli, Uomo risuscitato e glorificato, seduto alla sua destra, unico autore della nostra salvezza.
A questo riguardo, il primo paragrafo di Efesini 4 ha attirato la mia attenzione: “Colui che è disceso è lo stesso che è salito al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse ogni cosa”. È lui che ha dato alla Chiesa delle persone con degli specifici doni “per il perfezionamento dei santi… fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio”. La lettura di quel brano mi fu suggerita da quelle sorgenti scoperte dal contadino e dalle canalizzazioni che hanno permesso di far arrivare l’acqua fino alla vasca vicino alla porta della fattoria. Ho pensato: la montagna è l’Uomo Cristo Gesù, innalzato in gloria. Le acque che essa contiene sono le grazie divine a disposizione della fede. Le tubazioni sono come quelle “giunture” (Efesini 4:16) che collegano il corpo di Cristo (la Chiesa). Il Capo del corpo è Lui glorificato, e da Lui “tutto il corpo… trae il proprio sviluppo… per edificare se stesso nell’amore”.
Quello che Gesù fu quaggiù per i suoi discepoli, ai quali nulla mancò nel tempo della sua presenza tra loro, Egli lo è per la Chiesa che è il suo corpo durante il tempo della sua assenza, composta da tutti i veri credenti uniti dall’unico Spirito.
La fattoria, vicino alla quale stavo meditando, riceve ora tutta l’acqua necessaria alla sua sussistenza, grazie alle canalizzazioni che la portano fino alla vasca, dopo essere stata captata e raccolta sul fianco della montagna; acqua che vi si trovava già nascosta, in grande quantità. Allora ho fatto questa riflessione: in Cristo, la Chiesa possiede tutto il necessario per la sua crescita e la sua edificazione; ma come per poter usare l’acqua nella fattoria era stata necessaria un’aggiunta di tubi e di raccordi, così l’esercizio dei doni dello Spirito è fondamentale affinché tutto il corpo venga edificato e cresca. Tramite essi, Cristo glorificato nutre la sua Chiesa e “la cura teneramente” (Efesini 5:29).
Tutti noi dobbiamo crescere in ogni cosa verso di Lui che è il Capo (Efesini 4:16). Senza questa crescita, e senza una reale comunione con Lui, corriamo il rischio non solo di rimanere “bambini”, ma anche di essere sballottati qua e là da ogni vento di dottrina (Efesini 4:14). Quanti errori gravi, quante eresie ci vengono proposti, anche in modo subdolo, per farci “scadere dalla nostra fermezza” (2 Pietro 4:17)! Solo la fermezza nella verità che è in Cristo e l’esercizio di quell’amore che è stato “sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo” (Romani 5:5) possono essere la nostra salvaguardia.
La mutua dipendenza fra le varie membra del corpo crea vantaggi ma anche doveri reciproci (“la medesima cura” gli uni per gli altri – 1 Corinzi 12:25), affinché il corpo abbia un funzionamento normale, una giusta crescita e un buon sviluppo. Chiediamo al Signore che ci faccia capire qual è il dono che abbiamo ricevuto e qual è il servizio d’amore che dobbiamo svolgere, per poter assolvere ai compiti che vuole affidarci in mezzo ai nostri fratelli.
Desideriamo con ardore i doni spirituali (1 Corinzi 12:31)! Far parte di una chiesa locale che si riunisce nel nome del Signore, è una privilegio di grandissimo valore. Ma che posto abbiamo preso? Qual è il nostro atteggiamento? Desideriamo veramente e con umiltà il bene di tutti? Perseguiamo coi fratelli e le sorelle la giustizia, la fede, l’amore, la pace? (2 Timoteo 2:22)
Quando vedevo nella montagna quelle piccole canalizzazioni lungo le quali scorreva l’acqua, come nelle nostre vene circola il sangue che ci nutre, pensavo che sarebbe bastato che qualcuno di quei piccoli canali venisse ostruito, perché la fontana della fattoria cessasse di colare, nonostante le acque nascoste nelle viscere della montagna. Senza lo spogliamento dell’io, una pazienza e una fedeltà di cui il Signore ci ha dato esempio, ne verrà un danno per il singolo e per la chiesa. C’è dunque un’opera da fare che necessita di una devozione reale per Lui e per i suoi; la fedeltà a Dio e l’amore per i suoi danno oggi ai nostri cuori le gioie più grandi e avranno un premio nel cielo.
Che incoraggiamento per i credenti anziani quando, sul punto di terminare la corsa, voltandosi indietro, vedono giovani fratelli che dicono con tutto il cuore a Dio: “Eccomi, manda me!” (Isaia 6:8).
Guardiamo al Signore che ha compiuto l’opera che il Padre gli aveva dato da fare come un perfetto servitore (Giovanni 17:4). Prendiamo il suo “giogo” su di noi e impariamo da Lui; troveremo il riposo delle nostre anime (Matteo 11:29).
L. Gibert