Di quattro re di Giuda e d’Israele la Parola dice che si umiliarono; sono Roboamo, Acab, Ezechia e Manasse. Le circostanze in cui si trovarono sono molto diverse, ma in tutti i casi Dio ha tenuto conto della loro umiliazione.
L’umiliazione di Roboamo
2 Cronache 12:5-8
Roboamo, primo discendente del re Salomone, era stato l’artefice della divisione del regno d’Israele. La sua durezza e il suo orgoglio erano stati la causa diretta di quella rovina, che peraltro, Dio aveva già preannunciato come giudizio sulla condotta di Salomone.
Dopo le tensioni che avevano contrassegnato l’inizio del suo regno e un periodo di tre anni che sembrava promettessero bene (11:17), Roboamo “e tutto Israele con lui, abbandonò la legge del Signore” (12:1). Allora Dio mandò contro di loro il re d’Egitto con un potente esercito. Le città forti di Giuda vennero conquistate, e Roboamo e i suoi capi si rifugiarono nella città di Gerusalemme. Proprio lì il profeta Semaia va a trovarlo e fa una breve e solenne analisi della situazione: “Così dice il Signore: Voi avete abbandonato me, quindi anch’io ho abbandonato voi nelle mani di Sisac” (v. 5).
Ci sorprende che Roboamo non mostri indifferenza e non metta a tacere il profeta, come invece faranno altri; “i principi d’Israele e il re si umiliarono, e dissero: Il Signore è giusto” (v. 6). Non è facile dire: “Il Signore è giusto” quando si è sotto il suo castigo, perché la nostra tendenza è piuttosto quella di cercare di giustificarci.
Tuttavia, se è vero che agli occhi di Dio non sfugge alcuna mancanza, è anche vero che non gli sfuggono le cose buone. Infatti, “quando il Signore vide che si erano umiliati”, dice: “Io non li distruggerò, ma concederò loro fra poco un mezzo di scampo, e la mia ira non si rovescerà su Gerusalemme per mezzo di Sisac. Tuttavia gli saranno soggetti” (v. 7, 8).
Si può pensare che il pentimento di Roboamo non sia stato molto profondo, poiché il racconto della sua vita termina con questa triste conclusione: “Egli fece il male, perché non applicò il suo cuore alla ricerca del Signore” (v. 14). Tuttavia, un’umiliazione c’è stata, e Dio ne ha tenuto conto. Il giudizio è attenuato: “Concederò loro fra poco un mezzo di scampo” (v. 7).
L’umiliazione di Acab
1 Re 21:27-28
“In verità non c’è mai stato nessuno che, come Acab, si sia venduto a fare ciò che è male agli occhi del Signore, perché era istigato da sua moglie Izebel” (v. 25).
Triste storia quella di Acab, così come ci è raccontata nei capitoli da 17 a 22 del primo libro dei Re! Essa è strettamente legata a quella del profeta Elia, suscitato da Dio in quel periodo di tenebre e di apostasia, per cercare di ricondurre a lui il popolo d’Israele. Più di una volta Acab è messo in rapporto con Dio; egli ode i suoi avvertimenti, vede lo spiegamento della sua potenza e della sua grazia, ma il suo cuore è indurito. Nel cap. 21, si impossessa con la violenza della vigna di Nabot, lapidato su ordine di Izebel per essersi rifiutato di darla al re, dopo un processo iniquo che doveva avere l’apparenza di difendere gli interessi di Dio.
Proprio nel momento in cui Acab va ad impadronirsi dei quel terreno che ha desiderato e ottenuto, Elia lo incontra e gli comunica un severo messaggio da parte di Dio: “Nello stesso luogo dove i cani hanno leccato il sangue di Nabot, leccheranno anche il tuo”; e ancora: “Ecco, io ti farò cadere addosso una sciagura, ti spazzerò via, e sterminerò ogni uomo della tua casa… Quelli di Acab che moriranno in città saranno divorati dai cani, e quelli che moriranno nei campi saranno divorati dagli uccelli del cielo” (v. 19, 21, 24).
Allora, cosa inaspettata, il re si piega davanti all’annuncio del giudizio divino: “Quando Acab udì queste parole, si stracciò le vesti, si coprì con un sacco, e digiunò; dormiva avvolto nel sacco e camminava a passo lento” (v. 27). Questo atto avrà un seguito? Ci sarà un comportamento che dimostri un vero pentimento? Purtroppo no! Al cap. 22 è di nuovo lui che perseguita il profeta dell’Eterno, e Dio lo fa perire per mezzo di una freccia scoccata a caso, che si conficcò in un punto debole della sua corazza. Il timore del giudizio, per un momento, sembrava avesse prodotto la conversione di quell’uomo, ma Satana seppe avviluppare la sua preda e cancellare l’effetto della Parola di Dio.
Ma ciò che ci colpisce in questo racconto è che Dio, che comunque conosce ogni cosa in anticipo, non fu indifferente all’umiliazione di Acab, sebbene momentanea e superficiale; Dio ne tenne conto e dice al profeta Elia: “Hai visto come Acab si è umiliato davanti a me?” E Dio rimanda a più tardi l’esecuzione del giudizio: “Poiché egli si è umiliato davanti a me, io non farò venire la sciagura mentre egli è ancora vivo”. La grazia di Dio supera di molto i nostri pensieri e le nostre aspettative!
J.A. Monard