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domenica 11 febbraio 2024

Vi ho chiamati amici

Il Signore Gesù parla di questo privilegio come esclusivo dei suoi discepoli, dei suoi santi. "Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quel che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio" (Giovanni l5:l5).

Questa preziosa relazione dà un meraviglioso senso d'intimità e di fiducia. Quando preghiamo sentiamo che abbiamo bisogno di qualcosa, quando serviamo o adoriamo sentiamo che dobbiamo qualcosa, vale a dire che Egli è degno di ricevere qualcosa. Ma quando riceviamo comunicazioni, non ordini come  da un padrone, ma comunicazioni come da un amico, abbiamo solo da ascoltare, liberi da ogni sentimento di bisogno o di obbligo. Allora, la sola cosa da fare è sederci tranquilli; non rimanere in piedi come Marta per servire, né inginocchiarci come Maria per adorare, ma fermarci e fare silenzio dentro di noi.

Le ispirazioni di un profeta non hanno il valore delle comunicazioni che un amico riceve; non comportano la stessa prossimità né la stessa dignità. Un profeta riceve un'ispirazione per poi trasmetterla, come oracolo di Dio, e può comprenderla o no, come dice Pietro (l Pietro 1:l0-l2). Invece, un amico è messo al corrente di segreti sul piano della fiducia  personale, e comprende sempre quello che gli è confidato. Tutti gli eletti posseggono questo privilegio secondo la grazia e la chiamata di Dio; ma, tra di loro, penso che Abraamo, Mosè, Davide, Giovanni siano esempi particolari.


Abraamo.

Varie volte nella Scrittura Abraamo viene chiamato amico di Dio (Is. 4l:8, Giac. 2:23). L'Eterno lo fa entrare nei suoi segreti annunciandogli quello che farà a Sodoma, e dice: "Dovrò forse nascondere ad Abraamo quello che sto per fare?". Poi gli spiega il motivo che lo spinge a scendere fino a quella città per rendersi conto di persona della situazione (Ge. l8). Che momento fu quello! Il Giudice di Sodoma che si intrattiene con il vincitore di Sodoma, perché Abraamo, per fede, aveva rifiutato tutte le offerte del suo re. Oggetto di un onore così grande e di tanta fiducia, Abraamo si avvicina all'Eterno con libertà, e rimane davanti a Lui mentre gli angeli continuano la loro strada.

  

Mosè.

Di lui leggiamo: "Il SIGNORE parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico" (Es. 33:ll). Non ci è riferito l'argomento di quelle conversazioni, perché lo scopo del passo è di segnalare questa intimità. Ma veniamo a sapere quale uso Mosè ne ha fatto di questa benedetta relazione con l'Eterno, ed è esattamente lo stesso uso che ne aveva fatto Abraamo a suo tempo: egli parla all'Eterno degli altri, intercede per Israele, come il patriarca aveva interceduto per Sodoma. Forse Mosé non fu mai così vicino all'Eterno come in quell'occasione, nemmeno quando, sul monte Pisga, Dio gli fece vedere tutta l'estensione del paese promesso.

  

Davide.

In l Cr. l7:15-l6, quando Natan spiega a Davide la rivelazione di Dio, il re non si trova lì come penitente, vestito di sacco come al giorno della peste, né in lacrime con la polvere sul capo come nei giorni della rivolta di Absalom (2 Sa. l5). Non è neppure un adoratore, come quando cantava e danzava davanti all'arca dell'Eterno a Sion. Qui Davide è un amico, come lo erano stati Abraamo e Mosè. Egli riceveva comunicazioni dall'Eterno per mezzo del profeta, e allora, come uno che gode liberamente della grazia, "andò a presentarsi (lett. "Entrò e si sedette") davanti al SIGNORE"

Questo è molto bello e adeguato alla situazione. Se in quel momento Davide fosse rimasto in piedi, o si fosse inginocchiato, non sarebbe stato in armonia coi sentimenti di Dio. Se Dio fa cantare dei lamenti dobbiamo piangere, se fa suonare il flauto dobbiamo ballare (Mt. 11:17); se ci condanna e ci biasima dobbiamo portare lutto davanti a Lui, ma se si intrattiene con noi faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico, l'unica cosa da fare è sedersi e ascoltare.


Giovanni.

Durante l'ultima cena, nessun discepolo era più vicino a Gesù di Giovanni, chino sul suo petto. E così egli ha avuto accesso ai segreti del cuore del Signore. Con la domanda che fa a nome di Pietro capiamo che egli si serve del privilegio di quella vicinanza, e a lui viene comunicato il triste segreto di chi lo avrebbe tradito (Gv. l3:25).

 

Tutti questi esempi ci parlano della grazia particolare legata alla meravigliosa relazione di amici nella quale il Signore, per sua propria soddisfazione, ha fatto entrare i suoi. Essa ci appartiene già sulla terra, sebbene, a motivo della tiepidezza dei nostri affetti per Lui, la gustiamo solo in rari momenti. Per vederla nella sua prospettiva eterna, siamo invitati in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, sulla santa montagna per vedere il Signore risplendente di luce e i santi glorificati nel pieno godimento di questo privilegio. Mosé ed Elia "conversavano con Lui" (Lu. 9:30). 

Possano queste poche osservazioni aiutarci  ad acquistare una maggiore sicurezza davanti a Dio, e ad essere sempre più consapevoli dell'amore con cui siamo amati in quanto suoi eletti, amore che ci dà un posto nell'intimità col Signore. Se sappiamo stare in ginocchio per esporre i nostri bisogni o in piedi per servire, dobbiamo anche saperci sedere per ascoltare e ricevere le comunicazioni di Colui che é il nostro grande e fedele Amico.


di J.G.Bellett