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domenica 6 giugno 2021

GIUSEPPE E LA TENTAZIONE (Genesi 39)

Come verrebbe valutato, oggi, nel mondo che si dice cristiano, l’atteggiamento di Giuseppe verso la moglie di Potifar? Come si reagirebbe? Viviamo in un’epoca in cui le nozioni del bene e del male sono tanto sconvolte che anche noi credenti corriamo il rischio di adottare segretamente concetti tolleranti verso la gravità del peccato e di avere un giudizio falsato, perché non fondato sulla Parola di Dio. Indubbiamente il mondo è cambiato molto di più in questi ultimi cinquant’anni che nei cinquecento precedenti. L’instabilità, la contestazione e il peccato, sotto tutte le sue forme, non sono mai stati tanto evidenti e diffusi come oggi. Di fronte alla violenza e alla corruzione, ci è di conforto ricordare la fermezza e la purezza di Giuseppe in presenza della tentazione.

Realizzando il pericolo e la complessità di tante situazioni in cui ci possiamo trovare, vorrei ripetere alcune riflessioni scritte molto tempo fa da un servitore di Dio al quale stava a cuore il bene dei giovani cristiani, con la speranza che ci diano quella “sapienza che conduce alla salvezza”. Il mio scopo è di incoraggiare particolarmente i giovani, indicando loro, con l’esempio di un ragazzo, che ad ogni età si può vincere la tentazione e non cadere nell’impurità.

Giuseppe era esposto a una tentazione terribile, che è sempre esistita, ma che nel suo caso e nella sua particolare posizione era molto difficile da vincere. Egli era molto giovane, forse aveva una ventina d’anni. E questa è ancora l’età in cui si corrono i rischi più gravi, perché le passioni sono forti e non ancora bilanciate e tenute sotto controllo della riflessione, dell’esperienza e del senso delle responsabilità. 

Giuseppe aveva un fisico prestante e un bel viso. Le ragazze e i ragazzi sono facilmente portati ad approfittare di questi vantaggi e a manifestarsi indulgenti verso quelli che li ammirano. Giuseppe godeva di una fiducia illimitata da parte del suo padrone, ed era libero di agire come meglio gli pareva nell’amministrazione dei suoi beni, ma doveva rispettare la moglie del suo signore. Ed era proprio questa che cercava di sedurlo e che ogni giorno rinnovava la sua pretesa di avere delle relazioni intime con lui. 

E’ abbastanza facile resistere una o due volte, ma quando la tentazione si rinnova insidiosamente dieci, venti volte, e persino ogni giorno, quando l’insistenza tende a smussare l’imbarazzo della prima proposta, alla fine, sovente, le difese si allentano e il peccato trionfa. 

Giuseppe era assolutamente solo, e questa solitudine doveva pesargli. Non soltanto era lontano dalla sua famiglia e da suo padre, che lo credeva morto, ma viveva in un paese idolatra, senza principi morali. Inoltre, al momento dell’ultima prova, era anche solo in quella parte della casa; non lo poteva seguire nessuno sguardo umano.

Sovente, quando ci si crede sicuri dell’impunità, quando si sa che nessuno può vedere, si è portati a fare cose riprovevoli. Però, anche se i nostri parenti, i nostri amici non ci vedono, per noi credenti rimane la certezza che Dio ci vede. Giuseppe ne era molto cosciente, lui che ripeteva ogni giorno a quella donna perversa: “Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?” (Genesi 39:9). Eppure, il ricordo dei suoi sogni di un tempo avrebbe potuto aggiungere peso sulla bilancia della seduzione. Egli sapeva che un giorno sarebbe diventato grande e poteva pensare: “Forse, cedendo a questa proposta, potrei anticipare il momento della mia liberazione e della mia ascesa”.

Povero Giuseppe, così giovane e bello! Come potrà, da solo, liberarsi dalle maglie di quella rete che si stringe sempre più intorno a lui? Nel momento stesso in cui il nemico della sua anima crede che stia per soccombere, Giuseppe si libera con la fuga. Fugge lontano da quella donna corrotta, come uno fugge davanti a un serpente. Fuggire così non è il comportamento di un vile, ma è il comportamento di un saggio. Quella fuga è una ritirata gloriosa.

Che lezione ci dà questo giovane, messo a così dura prova! Quali erano le armi che gli hanno permesso di riportare la vittoria? Erano il timore di Dio, il suo orrore del male, la sua fermezza per sfuggire “alle passioni giovanili” (2 Timoteo 2:22) che fanno guerra all’anima (1 Pietro 2:11). Realizzava Romani 12:9: “Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene”. 

Quante persone, anche tra chi fa professione di pietà, vedono nell’impurità solo una debolezza! Invece, una delle principali cause dell’incredulità di un gran numero di uomini e donne dei nostri giorni deve essere cercata proprio nell’immoralità dei loro comportamenti. Se vogliamo sapere cosa ne pensa Dio delle relazioni contro natura, leggiamo i giudizi su Sodoma, su Gomorra e sui Cananei. Leggiamo soprattutto l’ultimo paragrafo di Romani 1  dove vediamo che Dio ha abbandonato quegli uomini e quelle donne “in balia della loro mente perversa”. Che disastri produce il peccato! Lo vediamo intorno a noi, soprattutto nelle grandi città moderne! Tali persone ricevono in loro stesse la dovuta ricompensa del loro sviamento (v. 27). 

Oltre ad avere un profondo timore di Dio, Giuseppe attingeva anche forza nel suo amore per il lavoro, nello svolgimento del proprio compito giornaliero. E’ detto che “un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro” (Genesi 39:11). Un’occupazione regolare svolta nell’impegno di glorificare il Signore, è anche un fattore di protezione; mentre un uomo inattivo, pigro o sognatore, apre già nella sua anima uno spiraglio alla tentazione.

In un modo o nell’altro, ognuno di noi può essere assalito dalla tentazione. Simile all’acqua che penetra nei minimi interstizi, il “gran male” come lo definisce Giuseppe tenta di insinuarsi nell’anima se trova degli spiragli aperti. Il diavolo saprà trovare una moglie di Potifar che farà luccicare davanti a noi tutte le attrazioni della seduzione e che ritornerà alla carica, ogni giorno, nei momenti di inattività, nel silenzio della notte. Se cedessimo, sarebbe la rovina della nostra vita cristiana. Le delizie del peccato, delle quali si può godere per un tempo (Ebrei 11:25), lasciano sempre un amaro sapore. 

Il Signore ci conceda la grazia di perseverare nelle cose che abbiano imparato (2 Timoteo 3:14), senza essere trascinati dallo spirito di questo secolo. Che possiamo vivere nella presenza di Dio, essere fedeli già nelle piccole cose, avere in orrore il male e fuggire l’impurità sotto tutti i suoi aspetti: chiudiamo quel libro, non apriamo quel sito, evitiamo quello spettacolo, rompiamo con quella compagnia. Solamente nella comunione con il Signore la gioia è pura e santa.

Ma se, disgraziatamente, qualcuno dei nostri lettori ha già ceduto alla tentazione, rimane una sorgente di grazia presso il Medico delle nostre anime. Forse solo Dio conosce l’intensità delle tentazioni che ci hanno fatto soccombere, la nostra lunga, sofferta e inutile resistenza, il dolore che abbiamo provato di essere stati vinti. Se c’è un pentimento sincero e un giudizio profondo delle nostre azioni e l’abbandono del peccato, Dio interverrà per liberarci.


J. Khm