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lunedì 7 giugno 2021

Il regno di Dio oggi

“Il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini” (Romani 14:17-18).

“Il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza” (1 Corinzi 4:20). 


Il Re respinto e ucciso

Quando il Signore Gesù è venuto sulla terra in mezzo al suo popolo, aveva un proposito: regnare. Ma la sua nascita fu come un fulmine a ciel sereno. In pochi lo aspettavano: Maria, destinata ad essere sua madre, il marito Giuseppe, i pastori onorati dalla visita dell’angelo, Simeone, la profetessa Anna. A quell’epoca sul trono di Gerusalemme sedeva Erode, impropriamente passato alla storia come “il Grande”. Quando Erode seppe che dei “magi d’Oriente” avevano capito che era nato il re dei Giudei ed erano venuti ad adorarlo, volle sapere dai capi sacerdoti e dagli scribi dove doveva nascere, ed ebbe informazioni molto precise: a Betlemme, secondo le profezie (Michea 5:1). La sua reazione fu furibonda, e decise di farlo uccidere. Dopo un primo tentativo andato a vuoto, per essere sicuro di riuscire nella criminosa impresa mandò ad uccidere tutti i maschi della regione di Betlemme che avevano meno di due anni; ma i genitori di Gesù, divinamente avvertiti, lo avevano messo al sicuro, lontano dalla Palestina. 

Gesù Cristo non ha mai rinunciato  ad essere re, ma la sua predicazione in vista del regno conterrà argomenti e appelli che stentavano ad entrare nelle menti e soprattutto nei cuori. Diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo (cioè a questa “buona notizia”)” (Marco 1:15). Nell’incontro notturno col “maestro d’Israele” Nicodemo, il Signore aveva insistito dicendo: “Se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio… Se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3:3, 5). Quando poi venne interrogato dai farisei su quando sarebbe venuto questo regno, il Signore disse: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi… ; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi” (Luca 17:21). 

I “grandi” del suo popolo non lo riconobbero e lo respinsero. Le folle che lo seguivano lo facevano spesso per approfittare dei suoi miracoli (Giovanni 2:23-24). I pochi discepoli che lo avevano riconosciuto come Messia e avevano creduto nella sua divinità, e persino i dodici più intimi, spesso non compresero il carattere del regno di Dio: si aspettavano un Messia trionfante, che si mettesse a capo del popolo e lo liberasse dal dominio dei Romani. 

Quanto, dopo il suo arresto, il governatore romano Pilato gli chiede se era il re dei Giudei, il Signore risponde: “Tu lo dici, sono re; io sono nato per questo”; ma poi aggiunge: “Il mio regno non è di questo mondo” (Giovanni 18:36). Infine, accusato di essersi fatto Figlio di Dio oltre che re dei Giudei (Giovanni 19:7, 12), viene condannato a morte, ingiuriato e crocifisso. Era davvero venuto in casa sua e i suoi non lo avevano ricevuto (Giovanni 1:11).


Un fallimento?

Allora, tutto finito? Niente affatto. “Ci sono molti disegni nel cuore dell’uomo, ma il piano del SIGNORE è quello che sussiste” (Proverbi 19:21). Il regno di Dio non poteva svanire nel nulla. Dopo la sua risurrezione e prima di ascendere al cielo, il Signore Gesù appare agli undici e dice loro: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra”. E subito aggiunge: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28:18). Nella sua qualità di Re glorificato nel cielo Egli ordina ai suoi sudditi sulla terra di proclamare l’Evangelo a tutti i popoli della terra, e a questi sudditi conferisce un’alta dignità; infatti dice di loro: “Voi siete un sacerdozio regale… un popolo che Dio si è acquistato perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce mevigliosa” (1 Pietro 2:9). 

Il giorno della Pentecoste, lo Spirito Santo scende sugli apostoli e li investe di una potenza straordinaria; eccoli quindi in azione come testimoni “in Gerusalemme, in tutta Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (Atti 1:8), portando “il lieto messaggio del regno di Dio e il nome di Gesù Cristo”, “esponendo con discorsi persuasivi le cose relative al regno di Dio” (Atti 8:12; 19:8). La predicazione di quel regno si estenderà così su tutta la terra. 

Ma cos’era il “regno” che gli apostoli dovevano predicare?


“Il mio regno non è di questo mondo” 

Il Re non è sulla terra, ma in cielo, e di là regna sui suoi sudditi. Chi è “nato di nuovo” mediante la fede nella sua opera appartiene a quel regno. “Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio” (Colossesi 1:13). Certo, un giorno il piano di Dio avrà il suo completo adempimento quando “il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto”, e che “durerà per sempre”, dopo aver distrutto i regni di questo mondo (Daniele 2:44). Ma noi che su questa terra abbiamo creduto in quel Re che è ora nel cielo apparteniamo già oggi a questo regno. 


I sudditi del Re

Come chiamiamo Gesù Cristo nostro Signore, così dovremmo chiamarlo nostro Re. Ma ancora più importante di questo è il modo con cui manifestiamo la nostra fedeltà e la nostra devozione verso di Lui. 

Il regno di Dio nel nostro cuore e sulla nostra vita non è un concetto teorico o soltanto una dottrina.  I versetti citati in testa ci mostrano come dovremmo vivere la nostra posizione di suoi sudditi. L’apostolo Paolo ricordava scrivendo ai Colossesi: “Abbiamo esortato, confortato e scongiurato ciascuno di voi a comportarsi in modo degno di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (1 Tessalonicesi 2:12). 

Notiamo poi nel passo di Romani 14:17-18 citato che chi realizza i principi morali del regno di Dio, oltre a servire il Re Gesù Cristo ed essere così “gradito a Dio”, sarà “approvato dagli uomini”, perché sarà utile al suo prossimo e darà anche una buona testimonianza al suo Re. “Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene?” (1 Pietro 3:13). 

Ecco in che modo siamo chiamati a realizzare il regno di Dio nella nostra vita.


Giustizia

Nei regni di questo mondo non regna la giustizia; per questo “noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia” (2 Pietro 3:13). Ma non limitiamoci a pensare a questa prospettiva! 

Dio ci ha giustificati (resi giusti) perché noi viviamo ogni giorno una vita di giustizia pratica, di rettitudine. “La grazia di Dio… ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo… giustamente” (Tito 2:12). “Chi pratica la giustizia è giusto, come’egli è giusto” (1 Giovanni 3:7). Giustizia nelle piccole vicende quotidiane e nelle nostre relazioni con gli uomini, specialmente in quei casi in cui normalmente le persone del mondo, anche quelle cosiddette “per bene”, agiscono con leggerezza, nella quasi certezza di non essere scoperti e restare impuniti. Giustizia che spesso deve attivarsi in favore del prossimo: “Difendete la causa del debole e dell’orfano, fate giustizia all’afflitto e al povero!” (Salmo 82:3). Non dimentichiamo che “praticare la giustizia e l’equità è cosa che il SIGNORE preferisce ai sacrifici” (Proverbi 21:3). 

Alle volte potremmo anche non essere compresi: “Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomenti la paura che incutono e non vi agitate; ma glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori” (1 Pietro 3:14-15).


Pace 

Nei regni di questo mondo non c’è pace, anche se, a parole, tutti la invocano. “Dicono: «Pace, pace», mentre pace con c’è” (Isaia 6:14). La pace quaggiù, annunziata dagli angeli alla nascita del Signore Gesù (Luca 2:14) (*), sarà stabilita con la forza dal Re dei re quando regnerà sulla terra (Isaia 2:2-4). Ma non adagiamoci su questa aspettativa! 

“La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini” (Filippesi 4:5). “Per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12:18). Anche qui si tratta delle nostre relazioni con il prossimo. Il suddito del “Dio della pace” (Romani 15:33; 16:20) non fa le sue vendette, neppure se è ingiustamente odiato e offeso. “Non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio… Chi vuole vedere giorni felici… fugga il male e faccia il bene (e questo si riallaccia al tema della giustizia); cerchi la pace e la persegua” (1 Pietro 3:9, 11); dunque, questo suo impegno per la pace sarà anche per la sua stessa felicità. Le parole del Signore “beati quelli che si adoperano per la pace” (Matteo 5:9) gli risuonano nel cuore e lo incoraggiano. Anche nella chiesa è importante “conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace” (Efesini 4:3). Quando c’è pace, c’è edificazione, crescita, gioia. “Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Romani 14:19).

Nella sua vita di suddito di un Re che ora non è sulla terra, non mancheranno le difficoltà e le preoccupazioni; come diceva Paolo nella sua predicazione, “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (Atti 14:22). Ma c’è una risorsa potente che mantiene la pace a chi vive spiritualmente in questo regno: la preghiera. “Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio… E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:6-7). Questa pace non è il prodotto artificiale e passeggero di uno sforzo umano, ma è frutto dello Spirito (Galati 5;:22) dato da Dio stesso (2 Tessalonicesi 3:16). Questo atteggiamento di serena fiducia nel Signore e Re della sua vita non passerà inosservato. 


Gioia 

Verrà il giorno in cui “i riscattati del SIGNORE… verranno a Sion con canti di gioia; una gioia eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia” (Isaia 35:10). Quel giorno, anche noi saremo con loro; ma già ora sulla terra, come sudditi del Re di gloria, realizziamo “gioia e letizia”. 

Questa gioia non viene da noi, non deriva dal nostro temperamento più o meno allegro e non è in relazione a circostanze o vicende più o meno favorevoli, ma viene da Lui: “credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa” (1 Pietro 1:8). In Samaria, quando la predicazione di Filippo raggiunse i cuori e le coscienze, “vi fu grande gioia in quella città” (Atti 8:8); e l’eunuco etiope di ritorno da Gerusalemme, quando accolse dallo stesso evangelista “il lieto messaggio di Gesù” (v. 35), “continuò il suo viaggio tutto allegro” (v. 39). 

Il suddito del Re potrà anche attraversare momenti di carestia, di penuria, e di cuore dirà come il profeta Abacuc: “… ma io mi rallegrerò nel SIGNORE, esulterò nel Dio della mia salvezza” (3:18). Anche se soffre persecuzioni a causa della testimonianza del Vangelo non perde la gioia nel Signore. Agli Ebrei che avevano accettato come Re il Messia è detto: “Accettaste con gioia la ruberia dei vostri beni, sapendo di possedere una ricchezza migliore e duratura” (Ebrei 10:34). Paolo e Sila, incarcerati a Filippi per avere predicato Cristo “pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano” (Atti 16:25), potente testimonianza più efficace di tanti discorsi. 


Non parole, ma potenza 

Da dove proviene questa potenza? Dalla forza d’animo, dall’intelligenza, dall’eloquenza? Assolutamente no. Ricordando la sua “testimonianza di Dio” a Corinto, Paolo scriveva: “La mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza” (1 Corinzi 2:1-4); e ai Tessalonicesi: “Il nostro evangelo non vi è stato annunziato non soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo” (1 Tessalonicesi 1:5). 

La potenza che agisce in chi opera in nome di Dio è strettamente legata allo Spirito Santo che il suo Signore e Re, asceso al cielo, ha fatto abitare in lui. Certo, la potenza dello Spirito sceso alla Pentecoste sugli apostoli, manifestata anche con “segni e prodigi”  volti ad accreditare la loro predicazione della “nuova Via” (Atti 14:3; 19:9, 23), non si ripeterà più in quella misura e tanto meno nei nostri tempi; ma non accontentiamoci di una vita di “sudditanza” scialba, svogliata, mediocre. Lasciamo libero lo Spirito Santo di manifestare la sua azione in noi, di portare il suo frutto (Galati 5:22)! Esercitiamo la nostra funzione “regale” proclamando le virtù del nostro Re celeste e la sua salvezza! L’esortazione di Paolo: “Siate ricolmi di Spirito” (Efesini 5:18) è anche per noi, oggi. E non dimentichiamo che nella misura in cui terremo il nostro “vecchio uomo” nella morte, “crocifisso” con Cristo (Galati 2:20), realizzeremo nella nostra vita la potenza del Signore, che dice anche a noi: “La mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2 Corinzi 12:9). 

“Or il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo” (Romani 15:13).