“Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce” (Filippesi 2:5-8).
Considerare il cammino che Gesù, il Cristo, ha fatto, per venire sulla terra a visitare delle creature ribelli, per donare loro la vita eterna, è un soggetto inesauribile, che riempie i cuori di un’ammirazione senza limiti e approfondisce i sentimenti dell’ “uomo nuovo” che ripete: “Il Figlio di Dio… mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Galati 2:20).
Per compiere l’opera della redenzione, per prendere su di Sé i nostri peccati come fossero i Suoi (Salmi 40:12), per morire e risuscitare, era necessario che Dio, nella persona del Figlio, diventasse uomo. Era necessario a causa dell’amore di Dio e della Sua giustizia, era necessario a causa del peccato; bisognava che “colui che non ha conosciuto peccato” fosse fatto “peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21). La Sua divinità Lo obbligava ad annientarsi… la Sua perfezione come uomo Lo costringeva ad abbassarsi “facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce”.
Che perfezione, che grandezza nel Suo annientarsi! “Non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”. Lo era a pieno diritto, ma non lo ha rivendicato; anzi, diventando uomo, ha preso “forma di servo”, e l’uomo l’ha trattato come se quella fosse la Sua condizione naturale: “Sono un lavoratore della terra; qualcuno mi comprò fin dalla mia giovinezza” (Zaccaria 13:5). Lui “che è sopra tute le cose Dio benedetto in eterno” (Romani 9:5), si è presentato così: “Imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore” (Matteo 11:29). Il Suo comportamento perfetto manifestava la Sua gloria morale che non poteva essere nascosta, ed è stato condannato a morte con quest’accusa: “Perché si è fatto Figlio di Dio”. Non aveva forse detto profeticamente: “Ho dovuto consegnare ciò che non avevo rubato”? (Salmi 69:4).
Tornando al versetto di Filippesi 2, citato all’inizio, siamo colpiti dalla grazia che esso esprime nei nostri confronti. Com’è possibile che degli esseri come noi, che cercano sempre, per loro natura, di elevarsi, siano invitati ad avere “lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù”, il sentimento di abbassamento volontario, di umiliazione non finta che ha caratterizzato il Suo cammino?
È la dimostrazione dell’efficacia dell’opera che ha compiuto, il cui risultato finale sarà di renderci simili a Lui, ma che, senza attendere il suo compimento, apre già la strada che, prima della croce, ci era preclusa.
Il Signore aveva detto a Pietro: “Dove vado io non puoi seguirmi per ora, ma mi seguirai più tardi” (Giovanni 13:36). In quel momento Cristo andava alla croce, e nessuno poteva condividere quell’esperienza con Lui. Volendo provarci, almeno da lontano (Luca 22:54), Pietro ha sperimentato tutta la sua incapacità. Compiuta l’opera della redenzione, tuttavia, Cristo il Salvatore è il modello da seguire per tutti quelli che, credendo in Lui, hanno ricevuto la vita eterna, la vita stessa di Cristo.
Tuttavia, se Cristo è presentato come il modello da seguire, da imitare, Egli porta più di un carattere che appartiene solo a Lui. Sono chiamato ad essere umile, e non posso che cercare, in verità, di realizzare ciò che sono, cioè niente, e anche meno. È ciò che Giobbe ha dovuto riconoscere e di cui ci indica la strada: “Ecco, io sono troppo meschino”, poi “perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere” (Giobbe 40:4; 42:6). In Cristo, il modello perfetto, l’umiltà ha tutt’altro carattere. Egli è, e rimane eternamente, Colui al quale si deve dire: “Tu sei degno”. Tutti i Suoi titoli di gloria Gli appartengono di diritto, senza che nessuno possa gettarvi un’ombra. Venendo sulla terra, se ne è spogliato del tutto; non ha rivendicato l’onore che gli dovevano le Sue creature e non le ha punite nemmeno quando l’hanno offeso fino a bestemmiare (vedi Giovanni 8:48-50).
E per i Suoi, anche ora, pur sottolineando ciò che in Cristo è unico, inimitabile, mai il Suo Spirito, che abita in loro, lascia intendere che non è possibile avvicinarlo e che bisogna accontentarsi di ammirarlo di lontano. Egli ci lascia, attraverso Pietro, questo messaggio: “Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio perché seguiate le sue orme” (1 Pietro 2:21); e, attraverso Paolo, la dolce e penetrante esortazione, così piena di grazia, che è ricordata qui.
Questo pensiero ha portato Cristo alla morte della croce. “Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio”. Elevato nella gloria, Egli rimane lo Stesso anche oggi.
M. Allovon