A. Apicella
E’ l’estate dell’anno 52 dopo Cristo. Un uomo di nome Paolo entra nella grande città di Corinto, città idolatra dai costumi dissoluti. E’ una persona semplice, “rozzo nel parlare” (2 Corinzi 11:6), che svolge il suo lavoro “con timore e con gran tremore” (2:3). Ma è armato. La sua conoscenza delle cose di Dio è molto profonda. Le sue armi “non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distruggere le fortezze”, di demolire i ragionamenti e “tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio” (2 Corinzi 10:4). Il suo messaggio è un messaggio d’amore e di grazia che si riassume in due parole: Cristo crocifisso!
Il lavoro si rivela subito difficile. L’opposizione è forte. Ma il Signore che l’ha mandato ha messo a sua disposizione due grandi risorse:
1. il suo incoraggiamento personale: “Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città” (Atti 18:9);
2. l’amicizia e la collaborazione di una coppia straordinaria di credenti, Aquila e Priscilla (Atti 18).
Vi sono molte conversioni. In quel “numeroso popolo” in mezzo al quale Paolo lavora, non ci sono molti sapienti, né molti potenti, né molti nobili”; ci sono le cose “pazze” del mondo, le cose “deboli”, “ignobili” e “disprezzate”, ma che Dio ha scelto (1:26-28). Alcuni erano stati fornicatori, altri idolatri o adulteri o avari o ubriachi, ma nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito di Dio erano stati lavati, santificati e giustificati (6:9).
Evoluzione
Paolo rimane là “un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio” (Atti 18:11), “piantando” quella pianticella che poi Dio faceva crescere. Con lui lavora anche Apollo, “uomo eloquente e versato nelle Scritture” (Atti 18:24-28), mandato per “annaffiare” quello che Paolo piantava. Sono “una medesima cosa” perché tutti e due si sentono “nulla” di fronte alla grandezza e alla sapienza di Dio.
Come “esperto architetto” Paolo ha posto “il fondamento”, l’unico possibile: Gesù Cristo. Su quella base incrollabile altri dovevano edificare (3:6-8,10).
La chiesa cresce. Lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni a piene mani. In Cristo, quei credenti sono “arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di ogni conoscenza” (1:5). Non mancano di nessun carisma.
Ma Satana non dorme. La sua opera nefasta, allora come oggi, si svolge sia dall’esterno, in modo violento, con le persecuzioni (Atti 18:12-17), sia subdolamente facendo leva sulle debolezze e le incoerenze dei figli di Dio.
Molti problemi sorgono così nella chiesa di Corinto e per ognuno di essi Dio, tramite Paolo e altri servitori, propone tre soluzioni:
- considerare Gesù e il valore del suo sacrificio
- modificare i comportamenti per adeguarli alla sua volontà
- approfittare dell’aiuto dei suoi servitori.
“L’amore non si vanta, non si gonfia”
In quella chiesa alcuni dicono di appartenere a Paolo, e se ne fanno vanto; altri ad Apollo o a Cefa, e anche questi si sentono importanti (1:11-13). Esaltano “l’uno a danno dell’altro”. Sono carnali. Vorrebbero dividere i servitori del Signore, metterli uno contro l’altro. Si gonfiano d’orgoglio, vanno al di là di quello che è scritto (4:6). Così facendo creano scismi e spaccature. Quando si riuniscono in assemblea ci sono divisioni tra di loro (11:18).
Il rimedio principale è considerare Cristo e il suo sacrificio. Cristo che “non è diviso”, Cristo che “è stato crocifisso” (1 Corinzi 1:13). E poi, non giudicare nulla “prima del tempo”. Sarà Lui a mettere in luce ciò che è nascosto e a manifestare i pensieri dei cuori, per dare a ciascuno la sua lode (4:5). Ma c’è anche l’aiuto prezioso dei servitori di Dio, in questo caso Timoteo, inviato appositamente da Paolo (1 Corinzi 4:17 e 21).
“L’amore non si comporta in modo sconveniente”
Nella chiesa c’è un fornicatore (5:1). I fratelli non hanno preso posizione contro il colpevole, non l’hanno “tolto di mezzo” a loro, come avrebbero dovuto. Il peccato non giudicato è come il lievito che si diffonde a “tutta la pasta”. Non si dovevano mischiare “con chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro...” (5:11). Non c’è comunione fra” la luce e le tenebre”. L’indifferenza nei confronti del male è anch’essa una forma d’orgoglio (5:2).
Anche in questo caso il rimedio principale è considerare Cristo e la sua opera. “La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata” perché i riscattati del Signore celebrino la festa dei pani senza lievito, vale a dire vivano nella santità e nella purezza. Poi c’è il comportamento: togliere il “vecchio lievito” ognuno dalla propria vita(5:7), poi togliere il “malvagio” dalla comunità dei credenti (5:13). Infine Paolo, rimproverandoli severamente, usa quella “verga” che non vorrebbe usare (4:21), ma lo fa per il loro bene, con l’amore di un padre verso i propri figli.
“L’amore è paziente e benevolo;... non cerca il proprio interesse… sopporta ogni cosa”
Fare “torto e danno” ai fratelli è un peccato; non sopportare un torto è mancanza di pazienza e di misericordia. Avere processi davanti agli increduli è una pessima testimonianza e anche un disprezzo verso la chiesa. “E’ possibile che non vi sia tra di voi neppure una persona saggia capace di pronunciare un giudizio tra un fratello e un altro?” (6:1-9).
Allora, bisogna considerare l’opera di Cristo nei credenti, e i suoi straordinari: “Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo” (6:11). Inoltre, se i santi giudicheranno il mondo e anche gli angeli (6:2-3), sarà grazie alla posizione che hanno in Lui.
Ma a queste considerazioni deve seguire un fermo impegno di tutti a non fare torto a nessuno, tanto meno ai fratelli, e a sopportare eventuali ingiustizie (6:7-8). Un fratello umile e spirituale, anche se è poco in vista, può essere in grado di dare un parere saggio e di pronunciare un giudizio fra un fratello e un altro” (6:5).
“L’amore gioisce con la verità”
La Cena del Signore non è il “pasto comune” (11:21), dove può avvenire che chi ha di più mangi e beva di più, e i poveri siano umiliati e la chiesa di Dio disprezzata (11:22). Non è in un tale contesto che va presa la Cena del Signore. Alla Cena è il Signore che invita i suoi perché partecipino alla sua stessa tavola e abbiano comunione con Lui, nel ricordo della sua Persona e del suo sacrificio. Ma i Corinzi sono disordinati in questo e il Signore è costretto a castigarli anche facendo ammalare e morire alcuni di loro (1:30). Paolo li esorta e li incoraggia: “Se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore, per non essere condannati con il mondo” (11:31).
Così, trasmette loro ciò che ha ricevuto direttamente dal Signore (11:23). Li invita a riconoscere che Cristo è Signore, e a riflettere sul valore e sul significato del suo corpo e del suo sangue. La sua Cena va presa in modo “degno”, e chi vi partecipa deve esaminare se stesso prima di accostarsi ai simboli. (11:28-31).
Inoltre, nella chiesa di Corinto c’è chi dice che “non c’è risurrezione dai morti” (15:12). E’ una grave falsa dottrina. Paolo consacra buona parte della sua prima lettera per chiarire le cose. Gli sguardi di quei credenti devono rivolgersi verso Cristo. “Cristo è risuscitato dai morti” (15:20). Ci sono le prove storiche, c’è la testimonianza degli apostoli e di centinaia di fratelli (15:4-9). “Se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede” (15:17). Ma non basta. Bisogna anche evitare le “cattive compagnie” che corrompono i buoni costumi, ridiventare “sobri per davvero”, approfondire la conoscenza di Dio (15:33-34).
“L’amore non invidia... non addebita il male”
Nella chiesa di Corinto alcuni “che si sono gonfiati” disprezzano Paolo e il suo servizio. Non gli riconoscono i diritti che invece Dio riconosce ai suoi servitori (9:4-14). Guardano “all’apparenza delle cose” (2 Corinzi 10:7), parlano ma senza la potenza dello Spirito (4:19-20). Eppure, “i segni dell’apostolo” sono evidenti e noti a tutti. Il suo amore disinteressato, la continua ricerca dell’approvazione di Dio, le innumerevoli sofferenze (2 Corinzi 11:22-32) sono una prova inconfutabile della sua fedeltà alla chiamata del Signore.
Il loro cuore “si è ristretto” (2 Corinzi 6:12). Paolo ne soffre e protesta: “Se io vi amo tanto, devo essere da voi amato di meno?” (2 Corinzi 12:15). Quei fratelli devono resistere all’astuzia del nemico e riscoprire Cristo. Devono ritrovare “la semplicità e la purezza” nei suoi riguardi (2 Corinzi 11:3) e riconoscere che Egli “fu crocifisso per la sua debolezza; ma vive per la potenza di Dio” (2 Corinzi 13:3-4). Cristo che è “potente” in mezzo a loro!
I Corinzi si sono ravveduti su molte cose (2 Corinzi 7:9), ma chissà se il pensiero della “mitezza e della mansuetudine” di Cristo (2 Corinzi 10:1) ha anche allargato quei cuori ristretti, per rendere ai cari servitori del Signore il contraccambio per il loro amore sincero e disinteressato!
Chissà se la riscoperta di Cristo, del suo amore e delle sue glorie, opererà anche nei nostri cuori, affinché, “seguendo la verità nell’amore” (Efesini 4:15), possiamo glorificarlo di più nella nostra vita individuale e nella vita delle nostre assemblee.