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giovedì 16 marzo 2023

Capire la volontà di Dio

Molti credenti desiderano realmente essere guidati dal Signore per poterlo onorare nella loro vita e servirlo in modo utile. Ma come si può capire la volontà di Dio, accettarla e compierla?


La misericordia di Dio

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:1-2).

Nei primi undici capitoli della lettera ai Romani, l’apostolo Paolo presenta il Vangelo di Dio che riguarda il suo Figlio. A partire dal capitolo 12 spiega come mettere in pratica la vita della fede. Elenca forse subito le “opere” che il Signore ha preparato per i credenti affinché essi le compiano? No. Paolo inizia citando il fondamento di tutte le esortazioni che seguono, che è la misericordia di Dio cioè tutto ciò che Dio, nella sua grazia, accorda ai peccatori, e di cui l’apostolo ha mostrato la piena ricchezza nel capitolo precedente.


Consacrarsi a Dio

Il sentimento dell’amore di cui Dio ci ama ci porta a una sola conclusione: offrire i nostri corpi “in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Romani 12:1). Non si tratta di un atto saltuario, ma di una consacrazione regolare, di una disponibilità totale, rinnovata di continuo e che si fonda sull’opera di Dio. Questo punto di partenza è fondamentale poiché la vita cristiana è, nella sua essenza, un’esistenza consacrata al Signore. La parola “sacrificio”, di solito implica qualcosa di negativo, di difficile, che ci impedisce di fare ciò che desideriamo, che ci fa pensare alla rinuncia alla nostra personalità, che parla di morte. Niente di tutto ciò: qui “sacrificio” sta per offerta, un qualcosa che si dà a Dio come atto di riconoscenza e per la sua gloria.

Dio non guarda alle nostre capacità - esse vengono da Lui- o alle nostre incapacità - esse sono reali - ma guarda alla nostra disponibilità; ecco il perché dell’incoraggiamento a offrire i nostri corpi in sacrificio. Questo sacrificio è:

Vivente. A differenza dei sacrifici di animali uccisi che venivano offerti anticamente da Israele; noi siamo “morti al peccato, ma viventi a Dio in Cristo Gesù”. Non è un sacrificio statico, ma dinamico e implica una vita al servizio del Signore.

Santo, poiché il mio corpo non è più al servizio del peccato, ma al servizio di Dio.

Gradito, in quanto piace a Dio ed è da Lui accettato.  

E’ un sacrificio intelligente, razionale (o spirituale), non una cerimonia cieca e formalista, compiuta secondo una regola o un obbligo legale. E’ il servizio che il credente offre ben sapendo ciò che fa, affidando al Signore il proprio corpo come strumento di cui Egli può liberamente disporre. Cosa c’è di più “razionale” di darsi interamente a Dio che, nella sua grande misericordia, ha fatto tutto per salvarci?

Consacrarsi così a Dio significa anche impegnarsi ad ubbidirgli.  


Il rinnovamento

Dove trovare la volontà e la capacità per offrire a Dio un tale sacrificio? Certamente non in noi, ma nel “rinnovamento” della nostra “mente”. Esso consiste in una trasformazione radicale nel nostro modo di pensare riguardo a noi stessi e a Dio, in modo da poter capire l’opera di Dio e le sue implicazioni nella nostra vita. Un vero miracolo!

Tale rinnovamento comprende due aspetti:

- Non conformarsi al mondo. L’apostolo Paolo mostra che il peggior nemico del rinnovamento della mente è quello di conformarsi al mondo, di uniformarsi al suo modo di pensare e di vivere. Il mondo è del tutto opposto a Dio, nei suoi valori, nei suoi costumi e nelle sue regole. Un credente che si fonde col mondo, come potrebbe poi sperare di portare fra gli increduli una testimonianza attendibile ed efficace?

- Essere trasformati. “Siate trasformati” non significa “trasformatevi”, ma piuttosto “lasciatevi trasformare”; permettere allo Spirito Santo che è in noi di svolgere il suo lavoro (Tito 3:5) e darci il discernimento della volontà di Dio.


Conoscere la volontà di Dio

Il termine “conoscere”, in questo caso ha il significato di “stabilire la certezza di una cosa provandola”. Conoscere la volontà di Dio come esperienza della nostra vita ci fa capire quanto essa sia “buona, gradita e perfetta”, e ricercare, di conseguenza, ciò che è buono, che piace a Dio, che è perfetto. Che privilegio poter conoscere la sua volontà in un mondo sempre più lontano da Lui, e che grazia trovarvi il proprio piacere! Però, pur ricercando la volontà di Dio, a volte non siamo in grado di riconoscerla e questo è dovuto spesso ad una mancanza di stretta comunione con Lui. Ma ecco qualche indicazione.


1. Un cammino è tracciato

E’ indispensabile tener conto delle indicazioni che il Signore ci dà:

- per mezzo della sua Parola, prima di tutto,

- per mezzo di esortazioni, consigli, avvertimenti di fratelli e sorelle,

- per mezzo delle circostanze, anche se queste sono le indicazioni più difficili da interpretare.

“Quando andrete a destra o quando andrete a sinistra, le tue orecchie udranno dietro a te una voce che dirà: ‘Questa è la via; camminate per essa!’” (Isaia 30:21).

“Così parla l’Eterno, il tuo redentore, il Santo d’Israele: Io sono il Signore, il tuo Dio, che t’insegna per il tuo bene, che ti guida per la via che devi seguire” (Isaia 48:17).

“L’Eterno ti guiderà sempre, ti sazierà nei luoghi aridi, darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino ben annaffiato, come una sorgente la cui acqua non manca mai” (Isaia 58:11).

Sui sentieri di montagna dei cartelli indicano la direzione da seguire con il tempo di percorrenza e a volte il grado di difficoltà. In inverno, dei paletti colorati delimitano le piste da sci e indicano la direzione da prendere e segnalano le zone dove la pratica del “fuori pista” risulta pericolosa. Essi sono piantati molto vicini gli uni agli altri perché, in caso di nebbia o di nevicata, la pista e i rifugi diventerebbero quasi invisibili. Così la Parola di Dio ci fornisce tutte le indicazioni necessarie per evitare di  uscire dal retto sentiero e correre pericoli che sarebbero a danno nostro e della testimonianza.


2. Un passo dopo l’altro

Dio desidera che noi camminiamo con lui un passo dopo l’altro e che dipendiamo da lui in ogni nostra circostanza, giorno dopo giorno. Non pensiamo che Dio ci dia una nuova direttiva se non abbiamo ancora risposto alla precedente. La storia del profeta Elia illustra questo principio (1 Re 17) in due casi significativi:

1. Dopo che Elia annuncia la siccità ad Acab, il re empio, Dio gli ordina di nascondersi presso il torrente Cherit e gli promette che berrà l’acqua del torrente e sarà nutrito dai corvi. Il profeta ubbidisce; i corvi gli portano il nutrimento la sera e la mattina. Ma un giorno il torrente rimane asciutto. 

2. Dio dà ora ad Elia una nuova direttiva, anch’essa accompagnata da una promessa. Deve recarsi nella città di Sarepta dove vedova gli darà da mangiare. Elia ubbidisce e incontra la vedova all’ingresso della città. La vedova crede alle sue parole, e la sua vita e quella di suo figlio sono salve. 


Cosa fare se si è presa una strada sbagliata?

Quando ci rendiamo conto che stiamo camminando nella direzione sbagliata, il metodo migliore per ritrovare la via giusta è quello di tornare all’ultimo segnale, come fece Abraamo. Egli partì da Betel a causa di una carestia e si diresse verso sud finendo in Egitto. Quando risalì, tornò a Betel dove ritrovò la comunione con Dio “al luogo dove da principio era stata la sua tenda, fra Betel e Ai, al luogo dov’era l’altare che egli aveva fatto prima” (Genesi 13:3-4).

E’ un po’ quello che ha fatto il “figlio prodigo” (sebbene questa parabola si applichi più all’uomo incredulo che non a un credente che si svia) quando si mette a riflettere sul proprio stato dopo aver esaurito tutte le sue risorse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non son più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi” (Luca 15:17-19). Egli si alza e ritorna dal padre.

E’ la stessa lezione che il Signore insegna a Pietro che lo ha rinnegato. Dopo la sua risurrezione, appare a lui e ad altri sei discepoli in riva al lago di Galilea. Avevano pescato tutta la notte senza successo. Ancora vivo sarà stato in loro il ricordo di un’altra pescata, prima infruttuosa, avvenuta tre anni prima; al miracolo del Signore, Pietro si era reso conto della propria indegnità e il Signore lo aveva chiamato a diventare pescatore d’uomini. Pietro, allora, aveva lasciato tutto per seguirlo (Luca 5:1-11). Qui c’è un nuovo miracolo e una piena riabilitazione.

In certi casi, quando ci siamo sviati, non possiamo tornare al punto di partenza senza che rimanga qualche traccia delle nostre incoerenze, non solo in noi stessi ma anche in coloro che ci attorniano; così avvenne nel caso di Lot che, in seguito all’errore di Abraamo di scendere in Egitto, rimase talmente attratto dalle pianure irrigate di quel paese che, quando si trattò di scegliere, scelse le pianure di Sodoma finendo per abitare in quella città corrotta. 

Noi tutti desideriamo conoscere il cammino che il Signore ha tracciato per il nostro bene e per la nostra felicità. Anche se non comprendiamo bene certe sue direttive, iniziamo ad ubbidirgli. L’ubbidienza apre l’intelligenza spirituale e ci fa capire che:

- il luogo più utile si trova là dove il Signore ci vuole,

- il cammino più sicuro è il cammino tracciato da Lui,

- la corsa più rapida è quella che tende “verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:14).