La vita di
Giuseppe è stata costellata da grandi difficoltà, momenti lunghi di prova,
pericoli. Sappiamo che Giacobbe, nelle sue parole profetiche in Genesi 49, lo
paragona ad un albero fruttifero i cui rami si stendono oltre il muro. Come già evidenziato nell’articolo “I rami che
si stendono sopra il muro” un’applicazione morale di questo passo è che
quest’uomo ha dimostrato fede e portato
frutto per Dio in ogni circostanza della sua vita.
Guardando alla sua storia
crediamo di poter affermare con certezza che:
- Per fede
ha servito quando era nella casa di Potifar;
- Per fede è
fuggito alle tentazioni della moglie di Potifar per non peccare contro Dio;
- Per fede
ha sopportato l’ingiustizia della prigione;
- Per fede
ha perdonato i suoi fratelli;
- Per fede ha potuto affermare ai
suoi fratelli: “Dio mi ha mandato qui
prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare
la vita a molti scampati”. Genesi 45:7.
E molto
altro oltre a questo.
Se leggiamo però nel capitolo 11
dell’epistola agli Ebrei, l’autore della lettera si esprime in questo modo: “Per fede Giuseppe, quando stava per morire,
fece menzione dell’esodo dei figli di Israele e diede disposizione circa le sue
ossa” Ebrei 11:22.
Questo brano
ci trasporta agli ultimi attimi della vita di quest’uomo di fede.
Ricordiamo
qual è la definizione di fede e cosa dobbiamo fare guardando alla fede di chi
ci ha preceduto.
“Or la fede è certezza di cose che si
sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” Ebrei
11:1. La stessa lettera ci dice “Ricordatevi
dei vostri conduttori, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; e
considerando quale sia stata la fine della loro vita, imitate la loro fede”(13:7).
Allora
vediamo come Giuseppe ha finito la corsa e cosa dobbiamo imitare di questa
fede.
Giuseppe è un uomo che si è
avvicinato al momento della morte in modo consapevole. Era conscio che il
momento di lasciare la scena di questo mondo stava arrivando. Possiamo dire che
per gli uomini la morte è un muro che fa
paura. Nella Bibbia è definita come “il
re degli spaventi” Giobbe 18:14. Per l’essere
umano è un terreno inesplorato. I credenti
certamente hanno delle promesse che sono contenute nella Parola di Dio, ma la morte
però anche per loro è qualcosa che porta dolore, che crea un distacco e separa
dalle persone care. La Bibbia, inoltre
definisce la morte un nemico, l’ultimo nemico che sarà vinto. Anche Giuseppe aveva delle promesse e su di esse si fondava. Erano le promesse che Dio
aveva fatto ad Abramo tanti anni prima. Ascoltiamo direttamente dalla voce di
Giuseppe cosa disse ai suoi fratelli. “Giuseppe
disse ai suoi fratelli:<<Io sto
per morire, ma Dio per certo vi
visiterà e vi farà salire, da questo paese, nel paese che promise con giuramento
ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe>>. Giuseppe fece giurare i figli di
Israele, dicendo: <<Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui
le mie ossa>>. Genesi 50:24-25.
Dio aveva fatto delle promesse ad Abramo
(Genesi 15:7-16), le stesse erano state rinnovate ad Isacco (Genesi 26:2-6) e a
Giacobbe(Genesi 28:13-15). E’ interessante notare che Giacobbe aveva detto a
Giuseppe: “Ecco, io muoio; ma Dio sarà
con voi e vi farà ritornare nel paese dei vostri padri” (Genesi 48:21).
Possiamo
dire che le promesse di Dio passano attraverso le generazioni, sia quelle
fatte ad Abramo che quelle per i credenti del tempo attuale. Ognuno però
se ne deve appropriare personalmente per mezzo della fede. Questo è ciò che ha
fatto Giuseppe. Possiamo notare la sua convinzione. Per ben due volte ripete “Dio per certo vi visiterà”. Non ci sono dubbi nelle sue parole, ci sono
solo certezze. Questa espressione “vi visiterà”, fa intendere che Dio
sarebbe intervenuto in potenza in favore del suo popolo. Ci ricordiamo che
qualche generazione dopo, quando Mosè ed Aaronne andarono dagli anziani di
Israele , è detto: “Essi compresero che
il Signore aveva visitato i figli di Israele e aveva visto la loro afflizione,
e s’inchinarono e adorarono”. Le parole di Giuseppe dovevano ricordare che
l’Egitto era solo un’esperienza transitoria per Israele. Questo popolo aveva un
paese promesso. Dio avrebbe mantenuto le sue promesse e nemmeno i
suoi resti sarebbero dovuti rimanere in Egitto. Notiamo anche la solennità del
momento: “fece giurare i figli di
Israele”.
Come ci poniamo davanti alla
morte? Il nostro corpo può tornare alla terra, quello di Giuseppe è stato messo
in un sarcofago, ma “sappiamo infatti che
se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio
un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna nei cieli” (2
Corinzi 5:1). Siamo animati da questa certezza di fede? La trasmettiamo anche
agli altri?
Un altro aspetto importante da
considerare. Che impatto ha avuto sulle generazioni successive la fede di Giuseppe? Io credo che i resti di
Giuseppe, conservati dagli Israeliti, fossero una testimonianza permanente del
fatto che Dio avrebbe liberato il suo popolo e mantenuto le sue promesse. C’era
stata la schiavitù, peraltro prevista nella promessa fatta ad Abramo, le
condizioni di vita degli Israeliti peggioravano progressivamente, ma le ossa di
Giuseppe ricordavano che ci sarebbe stata una partenza per il luogo della
promessa. Riflettiamo un momento su
quanto è accaduto per la decima piaga: alla concitazione, alla tensione di quegli attimi, alla Pasqua che doveva
essere mangiata “in fretta”, agli Egiziani che “fecero
pressione sul popolo per affrettare
la sua partenza” (Esodo 12:33), ad un popolo di seicentomila uomini che si
mette in cammino. E in tutto questo scenario la Parola ci dice: “Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe; perché questi aveva
espressamente fatto giurare ai figli di Israele, dicendo:<<Dio, certamente vi visiterà; allora, porterete
con voi le mie ossa da qui>>” (Esodo 13:19). Tutto questo non parla ai
nostri cuori? Le parole di Giuseppe, e la volontà che queste esprimevano, erano
passate attraverso le generazioni! Nonostante tutto quello che era accaduto nel
corso di quegli anni, le sue parole non erano state dimenticate.
Se abbiamo sperimentato di essere al capezzale
di un nostro congiunto credente, che in modo cosciente si avvicina alla morte,
la sua pace, la sua calma, la sua serenità, il fatto che aspetti di entrare
nella pace del Suo Salvatore in attesa della risurrezione del corpo, credo che possano
avere un effetto dirompente su di noi. Sono la dimostrazione che il credente può
superare questo muro, l’ultimo muro di questa vita, con la forza che Dio dà,
avendo davanti la gloria celeste, il luogo che il Signore ci ha promesso e
preparato. Questo ci dà forza e ci può donare la piena convinzione che Dio darà anche a noi la stessa energia spirituale quando questo
momento verrà.
Passano gli anni, il popolo dopo
il pellegrinaggio nel deserto arriva in Canaan, conquista il paese. La Parola
ci ricorda: “E le ossa di Giuseppe, che i figli d’Israele avevano portate dall’Egitto,
essi le seppellirono a Sichem, nella parte del campo che Giacobbe aveva
comprato dai figli di Chemor, padre di Sichem, per cento pezzi di denaro; e
i figli di Giuseppe le avevano ricevute come eredità” (Giosuè 24:32).
Il viaggio è terminato. Dio ha mantenuto le
sue promesse nonostante le infedeltà del popolo. I figli di Giuseppe ricevono la parte di eredità nel paese
promesso, una parte doppia. La sepoltura delle ossa di Giuseppe in quel luogo
avrebbe parlato anche alle generazioni successive e rimanevano testimoni della
fedeltà e della potenza di Dio verso il Suo popolo. Giuseppe e il popolo di Israele avevano delle
promesse terrene e Dio le ha mantenute, la morte non ha minimamente scalfito le
certezze di fede di Giuseppe. Noi per il tempo presente potremmo essere
chiamati a passare per la morte, magari in modo consapevole, come è stato per
Giuseppe. L’apostolo Paolo, condannato a morte, scrivendo a Timoteo, vedendo la
sua vita terrena giungere al termine scriveva: “Quanto a me io sto per essere offerto in libazione, il tempo della mia partenza è giunto” (2 Timoteo
4:6). Non parla di fine, di termine, parla di partenza. Il termine veniva
utilizzato in campo nautico, quando una nave levava l’ancora e scioglieva le
vele. Per il credente la morte non è la fine, non è un muro insormontabile, è
addormentarsi nella pace del Salvatore per essere alla Sua presenza in una gioiosa e cosciente attesa della risurrezione
del corpo. Paolo scriveva ai Filippesi al cap 1 versetto 23 “..ho il
desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio”.
Giuseppe attendeva che i suoi resti fossero trasportati dall’Egitto in Canaan e
noi? “Quanto a noi, la nostra
cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo,
il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo
conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di
sottomettere a sé ogni cosa” (Filippesi 3:20-21).
Quali grandi
promesse abbiamo grazie al valore dell’opera di Cristo! Che certezze ha la
fede! Non ci sono muri insormontabili per i credenti!
Cesare Casarotta